Decalogo per un corretto uso dei social in azienda
L’uso sempre più disinvolto e diffuso dei social ha un impatto anche sul mondo del lavoro. Sono infatti sempre più frequenti i casi di pronunce giudiziali connesse al loro inappropriato utilizzo, suscitando riflessioni cruciali sulle dinamiche aziendali. A questo tema il Gruppo Intersettoriale Direttori del Personale – Human Resources Directors Association (GIDP – HRDA) ha dedicato un incontro dal titolo “Gestire l’uso dei social network dentro e fuori l’azienda: problematiche e limiti” che ha visto la partecipazione di Marina Verderajme, Presidente Nazionale GIDP/HRDA e di Alessandro Daverio e Pasquale Zumbo, Avvocati dello Studio Legale Daverio&Florio. In mancanza di una normativa legale specifica, si stanno sviluppando ipotesi di lavoro tese a ricercare, per il tramite di regolamenti aziendali, un difficile equilibrio tra privacy dei dipendenti, loro diritto ad esprimere liberamente il pensiero e la legittima tutela degli interessi aziendali.
Questo approccio mira a disciplinare i diversi ambiti come, ad esempio il divieto, di difficile attuazione, di usare i social durante le ore lavorative o di generare commistioni tra l’immagine dell’azienda e le opinioni personali dei dipendenti, cercando di demarcare la linea di confine tra libera espressione del pensiero dei singoli lavoratori e diritto all’immagine dell’azienda. Oppure a delineare le modalità di controllo sugli strumenti di lavoro come tablet e cellulari o a impedire l’installazione di social network su dispositivi aziendali.
“Il mancato rispetto di una o più di queste regole, che ciascuna azienda può introdurre, può avere conseguenze diverse a seconda della gravità dell’inadempienza” – ha dichiarato Alessandro Daverio, avvocato dello Studio Daverio&Florio- Senza dubbio, l’interesse maggiormente tutelato risulta essere quello all’immagine ed al prestigio aziendale.
“Le sanzioni più severe nel rapporto di lavoro, compreso il licenziamento, si applicano quando l’azienda percepisca o si trovi a constatare che il proprio nome è associato a comportamenti o affermazioni non in linea con valori condivisi dalla comunità e ancora di più quando vi sia un effettivo danno alla propria reputazione”, prosegue Pasquale Zumbo, avvocato dello Studio Daverio&Florio.
Anche alla luce dei precedenti giurisprudenziali, nel corso del dibattito è emerso che le ipotesi più frequenti che possono dar luogo a provvedimenti disciplinari (compreso il licenziamento) possono essere la diffamazione ai danni dell’azienda o di suoi esponenti a mezzo social network, comportamenti extra- lavorativi che incidono sul rapporto di lavoro (ad. es. il caso di un dipendente che sui propri social network inneggia all’odio razziale) o condotte gravemente negligenti come, ad esempio, dedicare la maggior parte del tempo lavoro all’utilizzo e alla frequentazione dei social network.
“Viviamo in un’era di iperconnessione in cui i social rappresentano per molti un luogo privilegiato di relazioni e comunicazione.” Ha dichiarato Marina Verderajme. “E’ fondamentale accompagnare le persone in azienda nella consapevolezza dei rischi e delle opportunità di tali canali attraverso percorsi di formazione e codici comportamentali condivisi. GIDP è attiva in tal senso a supporto dei propri soci con l’organizzazione di seminari informativi e incontri. Con il supporto dello Studio Daverio e Florio, è stato elaborato il “Decalogo per un corretto uso dei social in azienda” che rappresenta una sintesi operativa di esperienza, giurisprudenza e buone pratiche, sia per le aziende che per i dipendenti”.
DECALOGO PER UN CORRETTO UTILIZZO DEI SOCIAL IN AZIENDA
- Documentarsi su eventuali indicazioni o codici etici che regolamentino l’uso dei social network a livello aziendale;
- Restare neutrali nelle comunicazioni che possono avere un impatto anche indiretto sull’immagine dell’azienda;
- Evitare la divulgazione di informazioni (documenti, foto, contatti) che potrebbero essere sottoposti a vincoli di riservatezza e confidenzialità;
- Distinguere chiaramente account personali da quelli professionali;
- Usare i social network durante le ore di lavoro solo se strettamente necessario e per un tempo che sia limitato e coerente con le specifiche mansioni svolte;
- Rappresentare fatti in modo obiettivo e rispettoso, evitando espressioni offensive;
- Avere cura di evitare tutte le commistioni che possano far confondere il pensiero della persona che lo esprime con l’immagine dell’azienda;
- Utilizzare i filtri per limitare l’accesso al post ad una cerchia ridotta di soggetti, tutelandone la riservatezza;
- Utilizzare i social con la stessa attenzione che si dovrebbero adottare nelle relazioni della vita “reale” senza farsi prendere la mano dall’immediatezza dello strumento;
- Sviluppare una consapevolezza critica nell’uso dei social, attraverso formazione e pratiche consapevoli.
ALCUNI CASI CONCRETI
Per citare qualche esempio, la Corte d’appello di Roma, con la Sentenza n. 1568 del 2023, ha dichiarato legittimo il licenziamento di una dipendente che, all’insaputa dei colleghi li registrava per ottenere contenuti da pubblicare sul proprio profilo Facebook nel quale, qualificandosi pubblicamente come Dirigente dell’Azienda, postava, senza interporre alcun filtro e quindi rendendo i contenuti potenzialmente visibili da chiunque, trascrizioni di conversazioni riportate con modalità allusive e surrettizie, con ciò seminando sospetti e gettando discredito verso il datore di lavoro ed il suo apparato dirigenziale.
In un altro caso la Corte di Cassazione ha ritenuto rilevante ai fini disciplinare la condotta di un funzionario amministrativo che aveva tenuto comportamenti inappropriati nei confronti di una stagista tra cui richiesta amicizia Facebook e frequente osservazione delle foto sul social network; invito a presentarsi truccata in ufficio; richiesta informazioni sui rapporti con il fidanzato; allusioni varie (Cass. 2022 n. 18992).
Sempre la Cassazione ha giudicato legittimo il licenziamento del dipendente che aveva postato un messaggio sul proprio profilo Facebook, diffondendo comunicazioni dai contenuti gravemente offensivi e sprezzanti nei confronti delle sue dirette superiori e degli stessi vertici aziendali. In particolare, i giudici hanno osservato come il mezzo utilizzato è idoneo a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone e la critica
rivolta ai superiori con modalità esorbitanti dall’obbligo di correttezza formale dei toni e dei contenuti può essere di per sé suscettibile di arrecare pregiudizio all’organizzazione aziendale. (Cass. 2021 n. 27939).
D’altro canto, i Giudici hanno applicato gli stessi principi anche per i datori di lavoro che si affidano ai Social network, ad esempio, nell’ambito delle relazioni sindacali. In un recente caso (Trib. Milano, 11 agosto 2021) le dichiarazioni sull’operato sindacale diffuse con questi strumenti sono state ritenute diffamatorie e lesive delle prerogative del sindacato stesso ed in quanto tali giudicate antisindacali perché volte a disincentivare l’adesione all’organizzazione.